COLLEZIONE MARCO CURCI - IL GIRO DEL MONDO IN…UN SOLO GIORNO

Giovedì, 29 Giugno 2017

Fox Terrier su carretto, Italia, 1956

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“Dove c’è un cane, c’è una casa” – rifletté Martino.

 

La cartolina di oggi è abbinata a un racconto per ricordare che la curiosità può animare il coraggio, che la generosità è la vera ricchezza. E che un cane può essere una guida lungo la via.

 

Da “Favole al telefono” di Gianni Rodari, Einaudi, 1972.

 

“All’uscita del paese si dividevano tre strade: una andava verso il mare, la

seconda verso la città e la terza non andava in nessun posto.

Martino lo sapeva perché l’aveva chiesto un po’ a tutti, e da tutti aveva avuto la stessa risposta:

«Quella strada lì? Non va in nessun posto. È inutile camminarci».

«E fin dove arriva?»

«Non arriva da nessuna parte».

«Ma allora perché l’hanno fatta?»

«Non l’ha fatta nessuno, è sempre stata lì».

«Ma nessuno è mai andato a vedere?»

«Sei una bella testa dura: se ti diciamo che non c’è niente da vedere...»

«Non potete saperlo se non ci siete stati mai».

Era così ostinato che cominciarono a chiamarlo Martino Testadura, ma lui

non se la prendeva e continuava a pensare alla strada che non andava in nessun posto.

Quando fu abbastanza grande da attraversare la strada senza dare una mano

al nonno, una mattina si alzò per tempo, uscì dal paese e senza esitare imboccò la strada misteriosa e andò sempre avanti. In fondo era pieno di buche e di

erbacce, ma per fortuna non pioveva da un pezzo, così non c’erano pozzanghere. A destra e a sinistra si allungava una siepe, ma ben presto cominciavano i

boschi. I rami degli alberi si intrecciavano al di sopra della strada e formavano

una galleria scura e fresca, nella quale penetrava solo qua e là qualche raggio di

sole a far da fanale.

Cammina e cammina, la galleria non finiva mai, la strada non finiva mai, a

Martino dolevano i piedi, e già cominciava a pensare che avrebbe fatto bene a

tornarsene indietro quando vide un cane.

«Dove c’è una cane c’è una casa», rifletté Martino, «o per lo meno un

uomo».

Il cane gli corse incontro scodinzolando, gli leccò le mani, poi si avviò lungo

la strada e ad ogni passo si voltava per controllare se Martino lo seguiva ancora.

«Vengo, vengo», diceva Martino, incuriosito. Finalmente il bosco cominciò a

diradarsi, in alto riapparve il cielo e la strada terminò sulla soglia di un grande

cancello di ferro.

Attraverso le sbarre Martino vide un castello con tutte le porte e le finestre

spalancate, e il fumo usciva da tutti i comignoli, e da un balcone una bellissima

signora salutava con la mano e gridava allegramente:

«Avanti, avanti, Martino Testadura!»

«Toh» si rallegrò Martino, «io non sapevo che sarei arrivato, ma lei sì».

Spinse il cancello, attraversò il parco ed entrò nel salone del castello in tempo per fare l’inchino alla bella signora che scendeva dallo scalone. Era bella, e

vestita anche meglio delle fate e delle principesse, e in più era proprio allegra

e rideva:

«Allora non ci hai creduto».

«A che cosa?»

«Alla storia della strada che non andava in nessun posto».

«Era troppo stupida. E secondo me ci sono anche più posti che strade».

«Certo, basta aver voglia di muoversi. Ora vieni, ti farò visitare il castello».

C’erano più di cento saloni, zeppi di tesori di ogni genere, come quei castelli delle favole dove dormono le belle addormentate o dove gli orchi ammassano

le loro ricchezze. C’erano diamanti, pietre preziose, oro, argento, e ogni momento la bella signora diceva:

«Prendi, prendi quello che vuoi. Ti presterò un carretto per portare il peso».

Figuratevi se Martino si fece pregare. Il carretto era ben pieno quando egli

ripartì. A cassetta sedeva il cane, che era un cane ammaestrato, e sapeva reggere le briglie e abbaiare ai cavalli quando sonnecchiavano e uscivano di strada.

In paese, dove l’avevano già dato per morto, Martino Testadura fu accolto

con grande sorpresa. Il cane scaricò in piazza tutti i suoi tesori, dimenò due volte la coda in segno di saluto, rimontò a cassetta e via in una nuvola di polvere.

Martino fece grandi regali a tutti, amici e nemici, e dovette raccontare cento

volte la sua avventura, e ogni volta che finiva qualcuno correva a casa a prendere carretto e cavallo e si precipitava giù per la strada che non andava in nessun posto.

Ma quella sera stessa tornarono uno dopo l’altro, con la faccia lunga così per

dispetto: la strada, per loro, finiva in mezzo al bosco, contro un fitto muro d’alberi, in un mare di spine. Non c’era più né cancello, né castello, né bella signora. Perché certi tesori esistono soltanto per chi batte per primo una strada nuova, e il primo era stato Martino Testadura.”

 

Silvia Sertorio

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